

LIVORNO – I primi 100 giorni di Trump sono segnati da nuove tensioni commerciali che preoccupano la logistica globale. Rischi su export, supply chain e traffici container: Italia osservata speciale, nuovo scossone al commercio globale.
A cento giorni dal ritorno alla Casa Bianca, Donald Trump ha celebrato il suo operato in un comizio nello Stato del Michigan, cuore manifatturiero dell’industria automobilistica americana, confermando la linea dura sui dazi, ma introducendo un parziale ammorbidimento per il settore auto. La mossa, tuttavia, non cancella le preoccupazioni che attraversano l’economia americana e internazionale, innescando effetti a catena anche sui flussi marittimi e sulla logistica globale — e quindi anche sui porti italiani.
«Vogliamo solo aiutare durante un periodo di transizione», ha dichiarato Trump, annunciando che l’attuale tariffa del 25% sulle auto importate resterà in vigore, ma verranno evitate sovrapposizioni con altri dazi, come quelli su acciaio e alluminio. Un messaggio rivolto tanto agli elettori americani quanto ai produttori, che però non cancella l’incertezza percepita dal mondo imprenditoriale, sempre più inquieto.
Industria Usa in cerca di respiro
Trump ha firmato oltre 130 ordini esecutivi in questi primi tre mesi, un’attività che i suoi sostenitori paragonano al dinamismo di Franklin Delano Roosevelt, anche se con obiettivi diametralmente opposti: riduzione della burocrazia federale, restrizioni sull’immigrazione, guerre culturali e una politica economica protezionista. E proprio su questo fronte, il Presidente ha cercato di rassicurare le imprese automobilistiche promettendo una gestione più flessibile delle tariffe doganali per evitare danni immediati alla filiera.
Le case produttrici non dovranno più pagare dazi cumulativi: il balzello sul veicolo finito non sarà sommato a quelli sulle componenti in metallo. Inoltre, per i pezzi importati e poi assemblati negli Stati Uniti, le aziende verranno rimborsate fino al 3,75% del valore del veicolo nel primo anno, e al 2,5% nel secondo.
Impatto globale: navi e container nel mirino
Questo aggiustamento, tuttavia, non basta a tranquillizzare gli osservatori. Le grandi imprese americane – da Ford a GM – hanno accolto positivamente l’iniziativa, ma segnalano l’instabilità del contesto. GM, ad esempio, ha registrato un calo del 6,6% nei profitti del primo trimestre e ha sospeso le previsioni per il 2025. Volvo ha ritirato la sua guidance e Porsche prevede perdite per almeno 100 milioni di euro nel solo bimestre aprile-maggio. Tutto questo si riflette nei flussi di traffico marittimo e nei carichi containerizzati: ritardi, rimodulazioni e incertezze minano l’efficienza delle catene logistiche, con effetti visibili anche nei porti italiani.
L’Italia, nodo logistico strategico nel Mediterraneo, rischia di pagare il prezzo di una riduzione nei volumi di scambio. Le esportazioni verso gli Stati Uniti – in particolare quelle legate a componentistica auto, moda, alimentare e tecnologia – potrebbero subire rallentamenti. I porti di Genova, Livorno, Gioia Tauro e Trieste, già alle prese con flussi oscillanti a causa delle crisi nel Mar Rosso e in Ucraina, guardano con crescente attenzione alle evoluzioni della politica commerciale americana.
Amazon, Adidas e i colossi sotto pressione
La linea dura di Trump ha provocato reazioni anche tra i grandi player internazionali. Amazon ha valutato di inserire nei propri listini l’impatto dei dazi sui prezzi dei prodotti, ipotesi che ha provocato un immediato scontro con la Casa Bianca. Adidas ha parlato di rincari «inevitabili» sui prodotti destinati al mercato americano, mentre UPS ha annunciato il taglio di 20mila posti di lavoro, segnalando che gli effetti sulle catene di approvvigionamento sono i più gravi «degli ultimi cento anni».
Segnali di crisi anche dall’economia interna Usa
Le ricadute si stanno già facendo sentire sull’economia americana. Il PIL del primo trimestre dovrebbe attestarsi attorno allo 0,3%, mentre la fiducia dei consumatori ha toccato i minimi dalla pandemia. Gli indici di Borsa hanno segnato la peggior performance da cinquant’anni a questa parte, mentre la Federal Reserve si trova ora stretta tra la necessità di stimolare l’economia e il timore di innescare nuova inflazione. Il presidente della Fed Jerome Powell è stato attaccato direttamente da Trump, che ha rivendicato di «saperne più lui sui tassi d’interesse».
La Cina nel mirino: “Non ci fregheranno più”
Tra i bersagli principali di Trump resta la Cina. I dazi del 145% su alcuni beni importati da Pechino sono stati definiti “necessari” per proteggere l’economia americana da quello che il Presidente ha definito “il più grande furto di posti di lavoro della storia”. Eppure, lo stesso team economico della Casa Bianca ammette che uno scontro commerciale duraturo sarebbe insostenibile: secondo il Segretario al Tesoro Bessent, la Cina potrebbe perdere fino a 10 milioni di posti di lavoro, ma anche l’America rischia una grave recessione.
Export italiano e shipping in allerta
L’Italia, fortemente esposta all’export e alla logistica marittima, è tra i Paesi più sensibili agli effetti indiretti di una guerra commerciale globale. Le navi portacontainer, già in sofferenza per costi alti e rotte deviate, rischiano ulteriori disallineamenti tra domanda e offerta. Per i terminal portuali e gli operatori logistici italiani diventa cruciale monitorare le dinamiche tariffarie, i tempi doganali e l’orientamento delle multinazionali sulle catene di fornitura. Anche una sola modifica alle regole del gioco, a migliaia di chilometri di distanza, può tradursi in una riduzione significativa dei traffici nei nostri porti.
Incertezza strutturale, porti sotto pressione
In questo contesto, lo slogan “America First” torna a far paura, anche lontano dalle coste statunitensi. Se la nuova stagione dei dazi si tradurrà in barriere più alte, il contraccolpo per la logistica globale sarà inevitabile. E per l’Italia — ponte naturale tra Europa, Asia e Nord Africa — la sfida sarà mantenere attrattività, efficienza e resilienza nei porti e nei corridoi intermodali, in un mondo dove il commercio sembra sempre più ostaggio della politica.
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