

LIVORNO – Mentre sembra ormai certo il 25% dei dazi imposti dagli Usa alle auto importate, con il via dal 2 Aprile, abbiamo cercato di capire cosa accade da questa parte di mondo, e quali siano gli altri nodi del settore dell’automotive in Italia e Europa, ma soprattutto da dove deriva la crisi di oggi.
Lo abbiamo fatto con Michele Crisci, presidente UNRAE, Unione Nazionale Rappresentanti Autoveicoli Esteri, “l’Associazione delle Case automobilistiche estere che operano in Italia nella distribuzione e commercializzazione di autovetture, veicoli commerciali e industriali, bus, rimorchi, semirimorchi e allestimenti, caravan e autocaravan con le relative reti di assistenza tecnica e di ricambi originali”.
Dottor Crisci, partiamo da una questione “storica”: come siamo arrivati alla crisi dell’auto in Europa? Si potrà arrivare a una soluzione positiva?
Partiamo dalla seconda domanda: sì, sono sempre molto ottimista e sono convinto che la competenza alla fine prevalga.
Nel momento quindi in cui si faranno strategie e piani di medio e lungo termine, sia a livello politico che aziendale, che finora non abbiamo visto, le situazioni si risolveranno a livello globale.
Ci tengo a dirlo perchè sono sempre stato contrario alle barriere, ai dazi e al protezionismo credendo che soprattutto in quei settori industriali come l’automotive con investimenti enormi, sia fondamentale l’accettazione delle dinamiche globali.
Venendo a come si è creata la crisi è necessario fare un distinguo: nella maggior parte delle persone che leggono i giornali o ascoltano i media e gli opinionisti, si è creato un collegamento molto diretto tra il Green Deal e la crisi dell’auto.
Si racconta cioè che per colpa delle decisioni prese dall’Europa e degli obiettivi fissati sulle emissioni, l’auto sia andata in crisi.
Non è così e dobbiamo dirlo con grande forza. Se continuiamo a pensare che il problema sia il Green Deal siamo fuori strada e certamente non troveremo la soluzione.
Quello che è accaduto nelle prime due decadi del nuovo millennio è molto chiaro: gli europei, e anche gli americani, hanno spostato con grande decisione le loro produzioni in Cina.
Questo per questioni di convenienze di costi non solo della manodopera, ma anche dell’energia e dell’accoglienza che il governo cinese ha attuato creando le condizioni perché la grande imprenditoria dell’automotive europea si spostasse in Cina.
Agli inizi degli anni 2000 in Europa si produceva quasi il 40% della produzione mondiale di automotive e in Cina solamente il 2%.
Oggi è completamente il contrario: la Cina è diventato il primo paese produttore e in termini di mercato a livello mondiale, mentre l’Europa ha visto un crollo del 15% della produzione mondiale.
Questo “shift” di produzione in Cina ha creato naturalmente dei grandi vantaggi perché da un lato ha contenuto i costi e dall’altro ha dato una grande espansione a quei marchi europei che hanno identificato nel mercato cinese un mercato di grande crescita.
Cosa che è accaduta con uno sviluppo dal 30 al 50% delle vendite in Cina per i marchi europei.
I cinesi in questo arco temporale hanno acquisito velocemente il know how e le tecnologie e poi investito verso auto elettriche, spinti anche dall’alto livello di inquinamento delle loro città .
Nel giro di poco hanno smesso di acquistare auto endotermiche e hanno iniziato a produrre e acquistare solo auto elettriche e di conseguenza tutta la produzione europea che sfociava nel mercato cinese è rimasta invenduta.
Da qui deriva la crisi dei grandi marchi europei a cui poi si è aggiunto il Green Deal che ha spinto verso l’elettrico mentre le tecnologie cinesi in questo ambito erano già avanti di 10-15 anni.
Tutto ciò oggi va gestito con grande intelligenza e l’Europa non può pensare di farcela da sola e non può pensarlo neanche l’America. Gli unici che potranno pensarlo sono appunto i cinesi e questo è il motivo per cui dovremo stringere delle collaborazioni con loro invitandoli se possibile a iniziare le loro produzione in Europa come sta già accadendo, per mantenere i posti di lavoro.
In questa situazione la componentistica per l’Italia quanto vale?
Tantissimo. Infatti dobbiamo distinguere i due tipi di produzione in Italia. Mentre la produzione di auto e veicoli commerciali in Italia è in caduta libera ormai da tantissimi anni, si parla oggi di 400 mila autoveicoli prodotti, a cui si aggiungono i veicoli commerciali, diverso è il discorso sulla componentistica.
In questo caso sia da un punto di vista numerico in termini di fatturato, ma soprattutto da un punto di vista di contratti, è una delle industrie più importanti al mondo.
Fatto 100 il fatturato della componentistica in Italia, quasi il 60% è espresso e sviluppato nei confronti di marchi stranieri molto importanti.
Una componentistica di altissima qualità che naturalmente dobbiamo tutelare in tutti i modi non solo perché a livello occupazionale è molto importante ma perché è un timbro ben chiaro della qualità del made in Italy.
E qualche numero invece sul mercato di auto nuove e auto usate?
Il mercato europeo e anche quello italiano è, come ho detto, in grande sofferenza e mi riferisco soprattutto alle auto nuove private e aziendali.
E quando le auto nuove “soffrono”, per quelle usate le cose vanno un po’ meglio: spesso infatti i consumatori privati o le aziende in situazioni di incertezza si rivolgono al mercato dell’usato considerato più stabile e sicuro, con prezzi più abbordabili.
Non c’è dubbio che la situazione di grande incertezza che regna sia in Europa che in Italia, stia portando i consumatori privati o le flotte aziendali a prendersi un momento di pausa nelle decisioni di acquisto proprio perché la transizione in atto non ha ancora linee molto certe su quello che sarà conveniente acquistare soprattutto alla luce delle normative europee che stanno diventando sempre più stringenti vicine.Â
Ma oggi spingere sull’elettrico in Europa secondo lei è più dannoso o comunque è la strada giusta per il settore?
A mio avviso è la strada sicuramente più giusta sia da un punto di vista ambientale che di sviluppo di software.
Mi spiego: ci sono grandissimi vantaggi legati alla sicurezza e alla gestione delle auto con i software di ultima generazione che hanno però lo svantaggio di essere molto energivori.
E quindi, un’altra cosa che non si dice ma che dovrebbe invece essere raccontata, è che se vogliamo auto sicure, a guida autonoma etc..non si può pensare di muoverle con il diesel o la benzina.
Non è immaginabile perché la “fame” di energia di questi software presuppone l’utilizzo di batterie molto potenti.
L’elettrificazione non è quindi solamente un fatto ambientale come molti dicono, ma anche legato allo sviluppo di nuovi software.
La strada da intraprendere va gestita con grande serietà e onestà intellettuale che oggi in parte è mancata.
Questo perchè è chiaro che ci siano forti interessi nel non abbandonare i motori endotermici, basti pensare a chi produce gli idrocarburi, a chi li commercializza, o anche a un governo come quello italiano che, lo ricordo, incassa quasi 30 miliardi all’anno dalle accise sui carburanti.
È chiaro che sia una preoccupazione giustificabile da parte del nostro governo sul come rimpiazzare questi incassi che vengono riutilizzati in spesa pubblica, sanità …
L’Europa ha dato un percorso ventennale alle industrie per arrivare al 2035, molti non hanno praticato però un iter di riconversione e adesso ci troviamo in questa situazione della quale comunque si deve prendere atto e fare chiarezza perchè si tratta di un contesto nel quale gli investimenti sono talmente elevati che non si può pensare di vivere alla giornata.
Tutte le aziende che noi rappresentiamo come URNAE stanno investendo tantissimo sull’elettrificazione, questo è sicuramente il futuro, ma dobbiamo arrivarci senza creare danni sociali e senza illuderci sul fatto che ci siano delle soluzioni alternative.
Prima di lasciarla vorrei aprire con lei una parentesi sul mercato russo, una volta conclusa la guerra. Aprirà a nuove opportunità ?
Il mercato russo è sempre stato un mercato molto importante per tutti i produttori di auto soprattutto dopo l’abbattimento del muro di Berlino con una serie di contatti avviati col mondo sovietico.
Si vendevano diverse auto in quel mercato con concessionari e clienti di altissimo livello.
Ci sono cittadini russi che sono assolutamente persone rispettabilissime e che devono avere la possibilità di acquisire beni da qualsiasi parte. Quindi penso che dopo un periodo di assestamento, una volta conclusa la guerra, sarà importante ricominciare a relazionarsi col mercato russo.
D’altronde, e lo dico con molto pragmatismo, le guerre ci sono sempre state e sono sempre finite e le nazioni che erano uno contro l’altro hanno fatto spesso accordi commerciali su altri campi, non mi aspetto che questa volta sia diverso.
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