“Secondo Confindustria, i dazi USA e il dollaro debole costeranno all’Italia fino a 16 miliardi di export nei prossimi anni.”
ROMA – Il Centro Studi Confindustria fotografa un’economia sospesa tra segnali di stabilizzazione e nuove incognite globali
L’ottobre economico dell’Italia si apre con luci e ombre. La tregua israelo-palestinese e il calo del petrolio riportano una boccata d’ossigeno sui mercati, ma la fiammata dei dazi statunitensi e la debolezza del dollaro continuano a pesare sull’export e sul clima di fiducia. È la diagnosi contenuta nella nuova Congiuntura Flash del Centro Studi Confindustria, che registra un Paese ancora diviso tra ripresa degli investimenti e fragilità industriale.
Il prezzo del gas resta stabile, intorno ai 32 euro/MWh, più del doppio rispetto ai livelli pre-pandemia, mentre il petrolio scende a 66 dollari al barile, tornando sui valori del 2019. L’inflazione europea, ferma al 2,2%, non smuove la BCE, che mantiene i tassi invariati, mentre la Federal Reserve riprende la strada dei tagli, lasciando un dollaro debole sull’euro (1,17).
Il Governo punta a un deficit in calo – 2,8% nel 2026 – e a una manovra da 18 miliardi “a saldo zero”, priva di effetti significativi sul PIL. Gli interventi si concentrano su Irpef, sanità, famiglia e investimenti pubblici, ma la spinta alla crescita resta modesta.
Sul fronte produttivo, il quadro resta disomogeneo: investimenti in crescita, fiducia in lieve recupero, ma industria ancora in difficoltà. Dopo un’estate in altalena, la produzione di agosto è scesa del 2,4%, mentre i servizi tengono solo grazie al turismo (+3,5% annuo nella spesa degli stranieri). Il commercio interno mostra timidi segnali di vitalità, ma i consumi restano frenati dal risparmio precauzionale, salito al 9,5%.
Il vero nodo, secondo Confindustria, è l’export: i nuovi dazi USA e la rivalutazione dell’euro erodono la competitività italiana. L’accordo transatlantico firmato a settembre, che introduce tariffe del 15% su molti prodotti europei, ha già provocato un calo dell’8,7% delle importazioni USA dall’UE e un crollo del 21% delle esportazioni italiane verso gli Stati Uniti ad agosto.
Le stime del Centro Studi parlano chiaro: nel medio periodo, i dazi potrebbero tagliare fino a 16,5 miliardi di export verso gli USA, pari al 2,7% del totale nazionale e al 3,8% del manifatturiero. I settori più colpiti: automotive, alimentare, meccanica e moda. “Il rischio – scrive Confindustria – è la rilocalizzazione di produzioni strategiche verso gli Stati Uniti, con una perdita di competenze e capacità industriale in Europa”.
Nel frattempo, l’economia americana mostra un rallentamento: PIL +0,9% nel secondo trimestre ma occupazione in frenata. La Cina, al contrario, accelera grazie all’export (+8,3%), nonostante le tensioni commerciali con Washington.
In sintesi, l’Italia avanza tra scosse e controcorrenti: investe di più, ma produce meno; risparmia di più, ma consuma poco; si apre all’innovazione, ma resta vulnerabile ai venti geopolitici.
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