

BRUXELLES – La Commissione europea ha ufficializzato la proposta per una drastica riduzione delle emissioni climalteranti: entro il 2040, l’Unione dovrà tagliare almeno il 90% delle emissioni nette di gas serra rispetto ai livelli del 1990. Il nuovo traguardo, intermedio rispetto alla neutralità climatica fissata per il 2050, è stato presentato dal vicepresidente esecutivo Maroš Šefčovič come passaggio strategico nel cammino del Green Deal europeo.
La misura si inserisce nel percorso già tracciato al 2030 (−55%) e anticipa il prossimo aggiornamento del contributo nazionale dell’UE (NDC) in vista della COP30 di Belém, in Brasile. L’obiettivo 2040 sarà vincolante e sostenuto da un quadro flessibile che include – per la prima volta – l’uso regolato di crediti di carbonio internazionali, nella misura massima del 3%, a partire dal 2036.
La proposta è accolta con favore dal mondo industriale. Il gruppo energetico Vattenfall ha definito il target “coerente con la direzione della transizione”, mentre diversi osservatori, tra cui il think tank E3G, mettono in guardia dal rischio di una “neutralità contabile”, basata su offset esterni più che su riduzioni effettive.
Nel settore marittimo e portuale, il documento europeo arriva come consolidamento di politiche già avviate. Lo shipping è stato infatti incluso nel sistema ETS dal 2024, e i porti sono chiamati a diventare hub energetici per carburanti alternativi e soluzioni infrastrutturali a basse emissioni. Ma il quadro, ancora instabile, apre interrogativi operativi e di sostenibilità economica.
Shipping e mercati ETS: il primo anno del carbon pricing in mare
Dal 1° gennaio 2024, il sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS – Emissions Trading System) si è esteso al trasporto marittimo, trasformando anche per il settore navale la CO₂ in una voce di costo reale.
Il meccanismo si applica progressivamente: nel 2024 copre il 40% delle emissioni, nel 2025 salirà al 70%, fino a raggiungere il 100% nel 2026. Riguarda tutte le navi superiori alle 5.000 GT e include:
il 100% delle emissioni delle tratte intra-UE,
il 50% delle emissioni sulle tratte extra-UE con porti comunitari coinvolti.
A ogni tonnellata di CO₂ corrisponde una quota da acquistare sul mercato ETS. A valori attuali – circa 70 euro a tonnellata – l’impatto è sostanziale: una nave container da 15.000 TEU può generare costi ETS superiori al milione di euro annui per le sole rotte comunitarie.
I porti italiani, come Genova, Trieste e Livorno, osservano il fenomeno da vicino. Alcune linee hanno già ristrutturato gli scali, privilegiando terminal extra-UE come Tangeri Med o Damietta per contenere l’esposizione ETS. Le autorità portuali chiedono che una quota degli introiti ETS torni ai territori, per finanziare infrastrutture sostenibili: elettrificazione delle banchine, bunkeraggio di e-fuel, automazione e digitalizzazione.
Anche gli armatori hanno reagito: i principali operatori container – MSC, Maersk, CMA CGM – hanno introdotto “carbon surcharge” sulle tratte europee, mentre le compagnie ro-ro e passeggeri (come Grimaldi e GNV) segnalano aumenti operativi fra il 6% e il 12%. Il rischio, evidenziato da ECSA e dall’International Chamber of Shipping, è una perdita di competitività rispetto ai vettori extra-UE, oggi ancora fuori dal sistema.
Con il passaggio al 70% nel 2025 e al 100% l’anno seguente, l’ETS diventerà un fattore strutturale. In parallelo, Bruxelles lavora all’inclusione delle emissioni di metano e protossido di azoto: un’evoluzione che metterà sotto osservazione anche le navi GNL, finora considerate una soluzione transitoria.
La sfida climatica passa anche dal mare
L’Europa, nel ridisegnare la propria traiettoria climatica, non può prescindere dal sistema logistico-portuale. I porti, punti nevralgici di approvvigionamento energetico, e le flotte mercantili, vettori essenziali del commercio globale, saranno chiamati a svolgere un ruolo di catalizzatori della transizione. Se il Green Deal al 2040 vuole essere più di una dichiarazione d’intenti, dovrà misurarsi con la realtà del mare: rotte, costi, autonomia strategica e competitività.
L’ETS è solo il primo passo. Ma è già il banco di prova su cui si misureranno coerenza, coraggio politico e visione industriale del progetto europeo.
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