Fatti & Potere: un’analisi sulle minacce ibride, l’Italia chiede all’Europa di riportare il fronte Sud al centro dell’agenda.
LIVORNO – Negli ultimi giorni di settembre, lontano dai riflettori mediatici concentrati sul fronte orientale, l’Italia ha messo in campo una diplomazia silenziosa ma incisiva nei consessi europei. Bruxelles, Consiglio Affari Esteri, riunioni informali della difesa: il messaggio è stato univoco. L’Unione europea non può più permettersi di concentrare tutte le proprie energie sull’Est, trascurando il Mediterraneo. Roma ha chiesto esplicitamente un riequilibrio strategico dell’agenda europea, spostando l’attenzione verso il “fronte Sud”: Mediterraneo allargato, Nord Africa, Sahel, Levante.
Secondo quanto riportato da Decode39, il governo italiano ha insistito sul fatto che le minacce ibride e le instabilità provenienti dal Sud costituiscono oggi un pericolo strategico per l’Europa almeno pari a quello rappresentato dall’aggressione russa all’Ucraina. Non si tratta solo di questioni migratorie, ma di un insieme complesso di dinamiche che coinvolgono flussi irregolari strumentalizzati da attori statuali e non statuali, reti criminali transnazionali, terrorismo jihadista e vulnerabilità infrastrutturali.
Il Mediterraneo, sostiene Roma, è diventato uno spazio in cui si intrecciano conflitti a bassa intensità, rotte energetiche vitali per l’Unione e traiettorie geopolitiche in rapido mutamento. In questa lettura, la “questione Sud” non è un tema secondario, ma un elemento costitutivo della sicurezza europea.
L’analisi pubblicata da Le Monde sulla difficoltà dell’Europa a costruire una difesa comune offre uno sfondo significativo. L’articolo osserva che l’UE si è concentrata quasi esclusivamente sulla deterrenza nei confronti di Mosca, trascurando altre aree critiche. In questo quadro, “l’Italia è tra i paesi più attivi nel chiedere che il Mediterraneo e il Sahel entrino a pieno titolo nella pianificazione strategica europea”, sottolinea il quotidiano francese.
Roma ha richiamato l’attenzione sulle minacce ibride provenienti dal Sud: infiltrazioni jihadiste nella fascia sahelo-sahariana, instabilità politica in Libia, uso strumentale dei flussi migratori da parte di regimi nordafricani e gruppi armati, traffici illegali che sfruttano rotte marittime sempre più porose. A ciò si aggiungono rischi crescenti per le infrastrutture energetiche sottomarine e costiere: gasdotti, cavi in fibra ottica, hub LNG, fondamentali per la sicurezza economica europea.
Il discorso italiano è chiaro: l’Europa non può permettersi di avere un fianco meridionale esposto, mentre concentra risorse militari e finanziarie esclusivamente sull’Est. L’instabilità del Sahel, la fragilità libica e la crescente competizione in Levante sono fattori che possono tradursi rapidamente in crisi energetiche, ondate migratorie e minacce dirette alle reti infrastrutturali europee.
Il secondo asse della posizione italiana riguarda la centralità energetica e marittima del Mediterraneo. TAP, EastMed, i terminali di rigassificazione italiani e spagnoli, i cavi digitali che connettono l’Europa all’Africa e al Medio Oriente: tutto passa da qui.
Dopo l’invasione russa dell’Ucraina, l’Europa ha riscoperto il Mediterraneo come corridoio alternativo per il gas e per i flussi commerciali. L’Algeria è tornata a essere un partner strategico per la sicurezza energetica europea, mentre l’Egitto e Cipro stanno assumendo un ruolo centrale nella riorganizzazione delle rotte LNG. L’Italia si è mossa per tempo, intensificando la cooperazione con Algeri e il Cairo, rafforzando la presenza industriale di ENI nel Nord Africa e spingendo sui progetti infrastrutturali che riducono la dipendenza dal gas russo.
Roma, tuttavia, teme che questa rinnovata centralità mediterranea resti senza un corrispettivo politico e finanziario europeo. Nelle discussioni di Bruxelles, la delegazione italiana ha sostenuto che le rotte energetiche del Sud meritano lo stesso livello di attenzione, protezione e investimento strategico riservato ai corridoi orientali. La logica è semplice: la sicurezza dell’approvvigionamento passa tanto da TAP e EastMed quanto dai gasdotti baltici.
Il terzo pilastro della strategia italiana riguarda il ruolo operativo dei porti mediterranei. Augusta, Taranto, Napoli e Livorno — insieme ad altri scali del Sud — hanno già assunto negli ultimi anni funzioni avanzate per le operazioni NATO e UE. Sono stati impiegati come hub logistici per missioni nel Mediterraneo, per esercitazioni congiunte e come retrovie per il supporto alle attività militari e civili.
Roma chiede ora che questo ruolo sia riconosciuto formalmente nelle pianificazioni europee e sostenuto con fondi adeguati. Ciò significherebbe, da un lato, investimenti in infrastrutture dual use (civili e militari), digitalizzazione e sicurezza; dall’altro, una redistribuzione più equilibrata dei centri di comando e delle basi logistiche, oggi fortemente concentrati nel Nord e nell’Est dell’Unione.
Non si tratta solo di difesa. È un discorso che riguarda la competitività del sistema portuale mediterraneo, la possibilità di attrarre traffici strategici, l’integrazione nei corridoi TEN-T e la capacità di reagire a shock esterni.
A completare questa strategia, si inseriscono mosse bilaterali significative. Il 29 settembre, come riportato da Reuters, l’Italia ha firmato con il Bahrain un memorandum d’intesa del valore di oltre un miliardo di euro, con un focus su energia, logistica e cooperazione industriale. Si tratta di un tassello importante nella costruzione di un asse mediterraneo-mediorientale che rafforzi la posizione italiana come ponte tra Europa, Africa e Golfo.
Questa proiezione verso Sud e Sud-Est si accompagna a un discorso interno sempre più strutturato. Nei porti italiani si discute non solo di traffici commerciali, ma anche di ruolo strategico, protezione delle infrastrutture critiche, nuove rotte energetiche e digitali. È un linguaggio che fino a pochi anni fa apparteneva solo agli ambienti della difesa; oggi è parte integrante del dibattito logistico e industriale.
La sfida, per Roma, è ora tradurre questa posizione in risultati concreti. Non basta più “alzare la voce” nei consessi europei: servono alleanze, dossier strutturati, capacità di incidere sui piani finanziari dell’Unione. La costruzione di una vera agenda mediterranea richiede un approccio multilivello, in cui la difesa, la sicurezza energetica e la logistica siano trattate come facce della stessa medaglia.
In questo senso, l’Italia sta cercando sponde nei paesi del Sud Europa — Spagna, Grecia, Cipro — e nei partner mediorientali. Il Mediterraneo non è più una periferia, ma un crocevia. E chi saprà imporre la propria visione nei prossimi mesi, potrebbe orientare le scelte strategiche europee per un decennio.
La visione del Messaggero MarittimoNon è una questione di bandiere politiche, ma di geografia e realtà. Da troppo tempo il Mediterraneo è stato percepito a Bruxelles come un “fronte secondario”, utile per i flussi energetici ma marginale nelle priorità strategiche. Questa impostazione è ormai insostenibile.
Primo: perché le minacce ibride provenienti dal Sud non sono un’ipotesi remota, ma una realtà quotidiana. Dalla strumentalizzazione dei flussi migratori alle infiltrazioni terroristiche, dalla criminalità transnazionale alle vulnerabilità infrastrutturali, queste dinamiche si intrecciano e si alimentano a vicenda: gruppi criminali, reti jihadiste e attori statuali sfruttano rotte marittime e frontiere fragili per esercitare pressioni politiche e destabilizzare la regione, mentre cavi sottomarini, gasdotti e hub energetici diventano bersagli strategici. Il Mediterraneo è ormai un vero campo di competizione ibrida quotidiana.
Secondo: perché la centralità energetica e marittima dell’area è oggi un fatto economico prima ancora che politico. TAP, EastMed, i terminali LNG e i cavi digitali sono la linfa vitale dell’Unione. Proteggerli e integrarli in una visione comune non è un favore all’Italia, ma un atto di lungimiranza europea.
Terzo: perché i porti mediterranei, da Augusta a Livorno, hanno già dimostrato di poter operare come piattaforme avanzate per missioni NATO e UE, oltre che come snodi logistici globali. Non riconoscere formalmente questo ruolo significa sprecare un potenziale strategico enorme.
Il Mediterraneo non è più un margine. È una frontiera viva, complessa, centrale. Ed è nell’interesse collettivo dell’Europa riconoscerne la portata, costruendo politiche comuni, finanziamenti adeguati e una strategia che ne valorizzi il ruolo. L’Italia sta indicando una direzione. Sta all’Unione decidere se seguirla, o continuare a guardare altrove mentre il baricentro del mondo si sposta.
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