Tariffe incrociate USA–Cina: da domani parte una nuova fase per lo shipping globale, con effetti attesi anche sul Mediterraneo.
LIVORNO – Quando, il 25 settembre scorso, avevamo analizzato la decisione statunitense di introdurre un sistema di tariffe portuali sulle navi costruite in Cina, il provvedimento appariva ancora come un’operazione di politica industriale destinata a dispiegarsi nel medio periodo. Washington aveva tracciato le linee di un intervento protezionistico senza precedenti per il comparto marittimo, concepito per ridurre la dipendenza dai cantieri cinesi e stimolare la rinascita della cantieristica nazionale e degli alleati asiatici, con effetti potenzialmente significativi sulla geografia delle rotte globali e, indirettamente, anche su quelle mediterranee.
A distanza di poco più di due settimane, la situazione è radicalmente cambiata. Domani, 14 ottobre 2025, entreranno ufficialmente in vigore le nuove tariffe portuali statunitensi. Il meccanismo, confermato dall’Ufficio del Rappresentante per il Commercio (USTR) con alcune modifiche tecniche introdotte l’11 ottobre, prevede per le navi costruite in Cina l’applicazione di oneri pari al maggiore tra 18 dollari per tonnellata netta e 120 dollari per container. Per le unità di proprietà cinese, la tariffa sale a 50 dollari per tonnellata netta, con incrementi già programmati nei tre anni successivi. Il Financial Times ha definito questa misura una delle azioni protezionistiche più incisive mai adottate in ambito marittimo, un atto politico e industriale al tempo stesso.
La logica della Casa Bianca è chiara: colpire direttamente il dominio della cantieristica cinese, che negli ultimi vent’anni ha conquistato oltre la metà delle nuove costruzioni mondiali grazie a un ecosistema industriale integrato e a sussidi statali sistematici. Washington punta a disincentivare l’impiego di tonnellaggio costruito nei cantieri di Shanghai e Guangzhou, aprendo spazi a quelli sudcoreani e giapponesi e cercando di rilanciare la produzione domestica. Non si tratta solo di commercio: la cantieristica viene ormai considerata dagli Stati Uniti un asset strategico, al pari dei semiconduttori e delle reti 5G.
La risposta della Cina è stata rapida e calibrata. Il Ministero dei Trasporti di Pechino ha annunciato l’introduzione di tariffe portuali aggiuntive sulle navi statunitensi, applicate anch’esse dal 14 ottobre, al primo scalo in un porto cinese per ciascun viaggio. L’onere iniziale sarà di 400 yuan per tonnellata netta, circa 56 dollari, con aumenti progressivi già calendarizzati fino al 2028. La misura riguarda non solo le navi battenti bandiera USA, ma anche quelle costruite negli Stati Uniti o controllate da società a partecipazione americana superiore al 25 per cento. Pechino ha definito le tariffe statunitensi “discriminatorie” e ha dichiarato di essere pronta a utilizzare ulteriori strumenti amministrativi e doganali in caso di escalation.
Per il sistema portuale e logistico mediterraneo, gli effetti non saranno immediati, ma il contraccolpo è inevitabile. Gli operatori che bilanciano rotte Asia–Mediterraneo e transpacifiche stanno già valutando aggiustamenti nei network, con possibili triangolazioni più spinte, blank sailing e riprogrammazione delle first call statunitensi per contenere i costi. In un contesto segnato dalle deviazioni via Capo di Buona Speranza per le tensioni nel Mar Rosso e da una crescita globale dei traffici ferma allo 0,5% (dati UNCTAD, settembre), l’introduzione di un doppio sistema tariffario USA–Cina rischia di aggiungere volatilità e complessità operativa a un equilibrio già fragile.
Per i porti italiani la chiave sarà la flessibilità. Offrire alternative operative agli armatori, garantire efficienza di banchina e rafforzare i collegamenti intermodali sarà determinante per intercettare eventuali riallocazioni di traffico. In uno scenario che evolve rapidamente, la capacità di adattarsi alle nuove condizioni determinerà chi saprà consolidare il proprio ruolo nelle catene logistiche globali.
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